Messaggio offensivo tramite sms, WhatsApp o email: è reato? Differenza tra ingiuria e diffamazione

Messaggio offensivo tramite sms, WhatsApp o email: è reato? Differenza tra ingiuria e diffamazione

Con una recente pronuncia (sent. n. 34484/2018) la Cassazione è entrata nel vivo dell’argomento relativo all’ingiuria e alla diffamazione segnando i confini di questi due istituti giuridici anche in relazione all’utilizzo dei mezzi telematici.

Partendo dai concetti fondamentali: è reato la diffamazione, non è reato l’ingiuria (non lo è più a seguito della depenalizzazione operata dal D.lgs 7/2016). Qual è la differenza? La diffamazione è l’offesa pronunciata in assenza della vittima davanti a più persone (almeno due). L’ingiuria è invece rivolta direttamente alla vittima, in un colloquio a due, a prescindere dal fatto che ad assistere possano essere anche altre persone. Entrambe le condotte possono verificarsi mediante l’espressione di offese verbali o scritte, anche con l’utilizzo di mezzi telematici.

La diffamazione è reato. Questo significa che la parte offesa può depositare una querela ai carabinieri o direttamente alla Procura della Repubblica presentandosi con un proprio scritto oppure facendosi assistere da un avvocato che la redigerà e depositerà; sarà poi la Procura ad avviare indagini nei confronti del querelato ed al termine delle stesse, a valutare se chiedere l’archiviazione (la querela non avrà seguito) o esercitare l’azione penale (si aprirà il processo). Nel secondo caso la persona offesa può anche ottenere il risarcimento del danno subito costituendosi parte civile nel giudizio a mezzo di un avvocato.

Nel caso dell’ingiuria, invece, l’offeso può far valere il proprio diritto solo in sede civile tramite un atto di citazione notificato alla persona che ha proferito le offese dal proprio legale. Chi agisce anticipa i costi della causa. La prova è molto più difficile: posto il divieto per le parti di testimoniare a proprio favore, se non ci sono supporti informatici che contengono le offese scritte o registrate e nessuno ha assistito al fatto sarà difficile ad esempio dimostrare l’illecito consistito in una condotta verbale. In ogni caso, se il giudice dovesse ritenere raggiunta la prova, condannerà il colpevole al risarcimento degli eventuali danni all’onore dell’attore e a una sanzione da 200,00 a 12.000,00 euro.

Oggi non è più pericoloso, come prima della riforma del 2016, inviare un messaggio offensivo tramite sms, WhatsApp o email. Questo perché, se oltre al destinatario non ci sono altri soggetti in copia, si commette un’ingiuria che, come già detto, non costituisce più reato.

Dall’ingiuria si passa però alla diffamazione se in copia nell’email ci sono altri indirizzi di posta elettronica o se l’espressione viene proferita all’interno di un gruppo Whatsapp e quindi innanzi a più soggetti.

«L’invio di e-mail a contenuto diffamatorio», spiega la Cassazione, «realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria. La missiva a contenuto diffamatorio», proseguono i giudici «diretta a una pluralità di destinatari oltre all’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa”.

I giudici proseguono nell’argomentazione del principio di diritto secondo cui quando la corrispondenza con più destinatari avviene per via telematica «se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l’agente è ben consapevole; di qui la conclusione che in ogni caso il fatto contestato integra quantomeno anche il reato di diffamazione».