30 Lug L’affido condiviso dei figli nei procedimenti di separazione e divorzio
I figli, siano essi naturali o legittimi, hanno il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti da entrambi i genitori, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni; dunque, su madre e padre non grava un semplice dovere morale di prendersi cura dei figli, ma un vero e proprio dovere giuridico. Tale dovere non viene meno nel caso di separazione e divorzio dei genitori, situazione per la quale va comunque garantito ai figli il cosiddetto diritto alla bigenitorialità, ossia il diritto dei figli di conservare rapporti equilibrati e continuativi sia con la madre e il padre che con i parenti di ciascun ramo genitoriale. In tal caso, però, il giudice dovrà decidere sull’affidamento dei figli che, in base alle regole generali, deve essere disposto in modo condiviso.
Tale scelta comporta, all’atto pratico, l’obbligo per entrambi i genitori di esercitare la responsabilità genitoriale sulla prole e di condividere le decisioni di maggiore importanza riguardanti i figli.
Ciascun genitore può prendere le decisioni di ordinaria amministrazione (circa il mantenimento, la cura e l’istruzione) che ritiene più opportune per i figli durante il periodo che trascorre con loro; quanto alla straordinaria amministrazione, i genitori devono sempre assumere insieme le decisioni di maggior interesse per i figli (ad esempio quelle relative alla scelta della scuola che il minore dovrà frequentare oppure la scelta di una specifica terapia da seguire), tenendo conto delle loro capacità, inclinazione naturale e aspirazioni. Se i genitori non riescono a decidere insieme sulle questioni di ordinaria e straordinaria amministrazione relative ai figli, tale compito (tanto più nel secondo caso) va affidato al giudice.
L’affidamento condiviso, tuttavia, non comporta necessariamente che ciascun genitore trascorra con i propri figli lo stesso tempo rispetto all’altro genitore. Non c’è quindi una parificazione circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori, essendo impossibile una convivenza del minore con entrambi i genitori.
In linea generale, le norme in tema di affidamento non sono applicabili ai figli maggiorenni (anche se non autosufficienti economicamente o portatori di handicap grave). Per quanto riguarda, nello specifico, i portatori di handicap, anche se la legge prevede espressamente che ad essi vada applicata la disciplina dettata per i figli minori, tale previsione è da intendersi con riferimento al solo obbligo di mantenimento. Se, infatti, non viene accertata (in uno specifico giudizio di interdizione o di inabilitazione) l’incapacità di agire del giovane, egli deve presumersi capace di intendere e di volere e, in quanto tale, di scegliere con chi e come vivere.
L’esistenza di un conflitto tra i genitori (che si può definire quasi fisiologico quando la coppia si separa) non rappresenta un motivo per escludere, in modo automatico, l’affido condiviso dei figli. Secondo la giurisprudenza, infatti, i genitori di figli minori devono tenere distinto il loro rapporto di coppia da quello genitoriale; in questo contesto, anzi, l’affido condiviso può contribuire a superare le tensioni e a recuperare un clima di serenità tra i genitori, relativa essenzialmente a scelte attinenti alla vita quotidiana dei figli, consentendo una loro consapevole e comune partecipazione al progetto educativo dei figli. Va infatti sempre privilegiato il benessere della prole, consentendo al genitore con loro non convivente di conservare rapporti con i figli.
Nel caso, invece, di esasperata e insanabile conflittualità, caratterizzata, ad esempio, dal fatto di screditare gravemente la capacità educativa dell’altro genitore con ripetute accuse, può essere disposto l’affidamento esclusivo: in questi casi, infatti, se pur l’affido condiviso è in astratto possibile, esso, per essere concretizzato, richiede una convergenza d’intenti dei genitori e una consapevole adesione ad un programma educativo comune difficilmente realizzabile tra chi ha scelto di chiudere la relazione familiare con toni d’acceso conflitto.
L’affidamento dei figli non va confuso con il loro collocamento.
In ogni provvedimento che dispone l’affido condiviso, infatti, il giudice individua (nell’esclusivo interesse dei figli) il genitore presso il quale i minori dovranno fissare la loro residenza abituale (è questo il cosiddetto collocamento).
La scelta del genitore presso cui collocare i figli è, in linea generale, indipendente dall’addebito della separazione ad uno dei coniugi: salvo il caso, infatti, in cui le violazioni riguardino proprio i figli ( si pensi al caso di violenze perpetrate a loro danno), la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio (ad esempio l’infedeltà) non può tradursi anche in un pregiudizio per la prole, non nuocendo al suo corretto sviluppo psico-fisico, né compromettendo il suo rapporto con il genitore che ha eventualmente avuto l’addebito.
Il collocamento può avere tre forme: prevalente, a residenza alternata e invariato.
La prima soluzione, collocamento prevalente, prevede che i figli abbiano residenza prevalente presso la casa del genitore ritenuto dal giudice più idoneo: il cosiddetto genitore “collocatario“.
Si tratta della forma di affido più diffusa nella prassi, in quanto ritenuta quella maggiormente in grado di tutelare gli interessi del minore; si pensa, infatti, che il continuo e periodico cambiamento della collocazione e della gestione del quotidiano possa provocare nel minore la perdita di stabili punti di riferimento. Tale soluzione comporta comunque la necessità di assicurare ai figli e al genitore non collocatario di poter avere rapporti equilibrati e costanti: a tale scopo il provvedimento del giudice deve anche stabilire tempi e modalità di frequentazione dei figli minori col suddetto genitore (cosiddetto diritto di visita), prevedendo quando il genitore potrà incontrare i figli, quando essi dovranno trasferirsi presso la sua abitazione, con quale dei genitori i figli dovranno passare weekend, vacanze o festività.
Diversamente, il collocamento alternato prevede che il minore viva per periodi alterni presso ciascuno dei genitori. Essa, tuttavia, trova scarsa applicazione nella pratica poiché, secondo quello che è però l’orientamento prevalente, costringendo i figli a continui cambi di residenza e di gestione delle quotidiane attività, tale collocamento non sarebbe in grado di garantire loro un regime di vita razionale e potrebbe determinare la perdita dei necessari punti di riferimento.
Infine, il collocamento invariato: si tratta di una forma di collocamento peculiare, di solito prevista per accordo della coppia. Essa implica l’alternanza dei genitori nell’abitare la casa familiare. In altre parole, proprio per evitare ai figli continui spostamenti di residenza, sono la madre e il padre a muoversi da casa secondo turni (di solito, ma non necessariamente, settimanali) prestabiliti, mentre i figli restano collocati nell’ambiente domestico nel quale sono cresciuti, così conservando le proprie abitudini e i propri interessi. È una forma che trova applicazione nella prassi solo quando i rapporti tra i coniugi sono estremamente distesi, collaborativi e rispettosi ed il giudice non ravvisa pregiudizio per i minori.